LA LEGGENDA DI MARIA D’AVALOS

Maria D’Avalos

La leggenda

La storia d’amore tra Maria D’Avalos e il duca Fabrizio Carafa è forse una delle più struggenti di tutti i tempi. Si dice che i fantasmi dei due amanti animino ancora oggi le vie del centro storico di Napoli. Le mura di Palazzo Sansevero, in particolare, furono testimoni dell’orribile tragedia avvenuta il 18 ottobre 1590: l’assassinio della principessa e del suo amante da parte del marito di lei, il principe Carlo Gesualdo, fine compositore di musica.

Assassinio di Maria D’Avalos e del suo amante Fabrizio Carafa

Il tutto iniziò quando i due parteciparono a una festa della nobiltà napoletana, durante la quale a Maria fu presentato il duca Fabrizio Carafa, sposato con la nobildonna Maria Carafa.
Tra loro scoccò una scintilla di passione a prima vista e in poco tempo divennero amanti; si incontravano di nascosto alle feste per poi finire nelle camere da letto della principessa e scambiarsi ore di intensa intimità.

Palazzo Sansevero, lì dove alberga il fantasma di Maria D’Avalos

Maria aveva trovato l’anima gemella che aspettava da tempo, ma quell’amore si presentava come un fuoco pericoloso. I pettegolezzi riguardanti la relazione adultera si diffusero in tutta la città, fino alla tragica morte dei due amanti avvenuta il 18 ottobre 1590, per mano assassina del principe di Venosa, marito di Maria, che per gelosia uccise i due con un coltello e ordinò di esporre i loro corpi nudi sulle scalinate di Palazzo Sansevero, sotto gli occhi di tutta la città. Il principe Carlo Gesualdo, informato della relazione che Maria aveva intrecciato, aveva finto di partire per un viaggio e invece, rientrato di nascosto nel palazzo, aveva scoperto sua moglie in flagranza di adulterio con Fabrizio Carafa.

Dopo quel tragico evento, il fantasma di Maria D’Avalos vaga tutte le notti per le strade di piazza San Domenico Maggiore e coloro che vivono nei pressi del palazzo affermano di sentire ancora la voce di Maria.

Piazza San Domenico Maggiore

Fonti delle immagini

  1. https://lh3.googleusercontent.com/aJANC41lXwqlEDGxqnTdtCa4Tt93WZwdWjWu-s3i4V-hg44385eFEHvF96Jeak6MOYD7rg=s170
  2. https://www.google.com/url?sa=i&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjd1pSIptzgAhUnMewKHfvvAZ4QjRx6BAgBEAU&url=https%3A%2F%2Fwww.jammway.it%2Fstoria-damore-tutta-napolatana-maria-d-avalos%2F&psig=AOvVaw0DQgZZcwK75f3cxkybht3Q&ust=1551370083999217
  3. https://www.google.com/url?sa=i&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj_ua2XptzgAhUR6KQKHaBpAqkQjRx6BAgBEAU&url=https%3A%2F%2Fwww.napolinlove.it%2Fpalazzo-san-severo-li-dove-alberga-il-fantasma-di-maria-davalos%2F&psig=AOvVaw3A6x-jjyMfUkZTZBJ44bH5&ust=1551370115999442
  4. https://www.google.com/url?sa=i&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjO8ZWmptzgAhVG16QKHUNuBUMQjRx6BAgBEAU&url=http%3A%2F%2Fwww.napolitoday.it%2Feventi%2Fangeli-e-demoni-tour-chiese-misteriose-napoli.html&psig=AOvVaw1RZXn1rKHpzXjvd7D-c1TE&ust=1551370141396475

Autori: Olivier Lacatena, Ludovica Leonelli, Marisa Pia Russo, Matteo Sepe

PIZZA: STORIA E LEGGENDA

La leggenda…

Si racconta che nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito della pizzeria Brandi, ancora oggi in attività, ideò la pizza Margherita. Essa deve il suo nome alla regina Margherita di Savoia, in visita nella città di Napoli. La pizza Margherita era fatta con ingredienti semplici, ovvero pomodoro, mozzarella e basilico che rappresentavano la bandiera italiana. Delle tre pizze create dal pizzaiolo napoletano per l’evento, la Margherita fu la più apprezzata dalla regina.

… e la storia

Questa è la leggenda che troviamo in tutti i libri.
Ma, come riferito da vari testi ottocenteschi, in quell’occasione Raffaele Esposito non inventò la pizza con pomodoro, basilico e mozzarella, ma la fece semplicemente conoscere alla sovrana piemontese.
Già nel 1849, infatti, Emmanuele Rocco parlò di combinazioni di condimento con ingredienti vari, tra i quali basilico, “pomidoro” e “sottili fette di muzzarella”.

La pizza al popolo

La pizza è stata per anni il valore della vita e della sopravvivenza dei Lazzari. Nasce come cibo popolare, con la forma di una focaccia o di pane schiacciato. Uno dei modi tradizionali di consumarla è in strada, piegata su sé stessa a libretto, detto comunemente “portafoglio”.

Il film sulla pizza

“Totò Sapore e la magica storia della pizza” è un film d’animazione del 2003. Ambientato a Napoli nel 1700 circa, ha come protagonista Totò Sapore, un giovane che sogna di essere un grande chef, ma non ha modo di riempire il proprio menù. L’allegria però non gli manca, e così se ne va in giro a intonare canzoni che narrano di pranzi principeschi, con l’amico Pulcinella al suo fianco.

A corte Totò si innamora di Confiance ( figlia adottiva del cuoco francese Mestolon) e riesce a sfuggire, sempre con l’aiuto di Pulcinella, ai tranelli dello stesso Mestolon, suo rivale. Ma la Strega Vesuvia, padrona delle pentole magiche, odia la simpatia dei napoletani e soprattutto quella di Totò Sapore ed escogita pericolose trame contro di loro finché Totò con la sua creatività inventa la pizza e riesce a salvare Napoli dall’assedio nemico.

Fonti delle immagini

  1. https://www.vocedinapoli.it/2016/12/20/la-pizza-napoletana-arriva-mondo-24-ore/
  2. https://www.liveinternet.ru/tags/%D0%E5%F2%F0%EE-%F4%EE%F2%EE/page3.html
  3. http://www.napolinpillole.it/2018/03/16/la-pizza-napoletana/pizza_napoli_brandi/
  4. https://www.pinterest.it/pin/826058756628706449/
  5. https://it.wikipedia.org/wiki/Tot%C3%B2_Sapore_e_la_magica_storia_della_pizza

Autori: Matteo Sepe, Olivier Lacatena, Marisa Pia Russo, Christian Campochiaro

LA LEGGENDA DI COLAPESCE

La storia di Colapesce è un’antica leggenda che appartiene alla cultura dell’Italia Meridionale ed è tanto popolare da essere conosciuta in più versioni.

Le prime testimonianze della leggenda risalgono al XII secolo e si devono al poeta Raimon Jordan, che racconta di un certo Nichola de Bar, il quale viveva come un pesce.

Benedetto Croce racconta, invece, di Niccolò Pesce, un giovane ragazzo che amava il mare e lì trascorreva tutte le sue giornate. Tuttavia, la sua passione non era ben vista dalla madre che, un giorno, presa dalla disperazione, gli mandò una maledizione: “che tu possa diventare un pesce!”. Così Niccolò diventò mezzo uomo e mezzo pesce.

Il ragazzo, addirittura, si lasciava ingoiare dai pesci più grandi e poi col suo coltello  e ne distruggeva le viscere.
La sua fama si diffuse in tutto il regno tanto che persino il re volle incontrarlo per sapere com’era fatto il fondo del mare.
Niccolò accolse la richiesta del re e, dopo un’approfondita esplorazione, gli raccontò che era costituito da giardini di corallo ed era ricco di tesori, pietre preziose, armi, scheletri umani e navi sommerse.

La volta successiva il fanciullo andò alla scoperta delle grotte misteriose di Castel dell’Ovo e portò al re numerose gemme.

Il re, affascinato, volle sapere come l’isola di Sicilia si reggesse sul mare e Colapesce gli disse  che era posta su tre enormi colonne.

La curiosità del re era infinita, così un giorno volle che Niccolò giungesse sino al punto più profondo del mare: gli ordinò di andare a ripescare una palla di cannone che sarebbe stata scagliata nel faro di Messina.

Colapesce rincorse senza sosta la palla, la raggiunse e la prese, ma, alzando la testa al cielo, scoprì che le acque erano ferme e tese. Si ritrovò bloccato in uno spazio senza acqua.

È questa la leggenda di Colapesce, uno scugnizzo, un marinaio, un abile nuotatore che si calò in mare, che sia quello del Golfo di Napoli o quello di Sicilia, e non riemerse mai più.

Di questa leggenda esistono tante versioni molto simili fra loro. Alcune sono diverse per quel che riguarda le prove che il giovane doveva superare. In altre ancora si narra che il re protagonista della leggenda fosse il Ruggero di Sicilia o Federico II di Svevia.

A Napoli, la leggenda di Colapesce prende forma anche su di un bassorilievo di epoca classica, emerso durante gli scavi per le fondazioni di Sedile di Porto e murato poi nel 1700. Oggi viene ricordato attraverso una lapide scritta in latino e posta sulla facciata di un’abitazione.

La scultura rappresenta Orione, mitologico gigante cacciatore, nelle sembianze di un uomo villoso che tiene un pugnale nella mano destra. Il bassorilievo, il cui originale è conservato al Museo di San Martino, durante i secoli è stato fonte di discussione sia per il soggetto ambiguo raffigurato, sia per l’autenticità della sua datazione.

Autori: Matteo Sepe, Olivier Lacatena, Marisa Pia Russo, Christian Campochiaro